Installazioni Immersive

Solo chi ha vissuto certe esperienze può realmente comprenderle, tuttavia, questo articolo vuole rivolgersi a tutti: coloro che hanno provato cosa vuol dire visitare un’installazione immersiva potranno forse ritrovarsi in queste parole, gli altri spero che alla fine della lettura avranno la curiosità di provarne una.

Worm Hole, 2020. Installation view at Seismique (https://seismique.com/), Houston, 2020.
Photo by
Rogues Hollow Production

 

I tipi di arte immersiva

Prima di tutto definiamo cosa si intende per arte immersiva. In un articolo precedente del nostro blog vi abbiamo raccontato come è nato il concetto di immersività.
Gli autori di installazioni immersive progettano ambienti sensoriali con immagini, luce e suoni che interagiscono con lo spettatore e tutte queste pratiche condividono la creazione di un’esperienza sensoriale per il visitatore. Il fulcro in questi casi, infatti, non è l’installazione in sè (che sia una lampada, una stanza o un pannello) ma come si sente la persona nell’osservare e vivere quella specifica opera d’arte. Centrale nelle installazioni immersive è quindi la contemplazione del sentirsi parte dell’opera. Questo tipo di esperienze, infatti, possono generare in noi delle sensazioni inaspettate, che ci coinvolgono sia emotivamente che fisicamente.

Nell’ampio spettro di quello che si definisce immersivo, possiamo dividere questo tipo di esperienze in due grandi aree. La prima include le installazioni in ambienti interamente progettati con tecnologie quali videoproiezioni, specializzazione sonora, light art e presenza di attori.
La seconda rientra nella categoria recentemente chiamata XR (extended reality) con la quale si definiscono esperienze che utilizzano visori, tablet e altre tecnologie informatiche e dispositivi indossabili. 

In questo articolo prenderemo come esempio diversi tipi di installazioni immersive che ci permetteranno di capire cosa succede al nostro corpo e alla nostra mente all’interno di un ambiente di questo tipo.

Anthony McCall, You and I Horizontal, 2006. Installation view at Institut d’Art Contemporain, Villeurbanne, France, 2006. Photo by Blaise Adilon. Courtesy Sean Kelly Gallery, New York.

 

Il corpo nell’arte immersiva

Siamo costantemente influenzati dall’ambiente che ci circonda a livello percettivo, sensoriale, psicologico ed emotivo. Le installazioni immersive sono spesso opere che richiamano l’attenzione sul corpo dell’osservatore. 

Olafur Eliasson, un artista danese, è riuscito a creare una lampada che elimina tutti i colori. La sua famosa stanza gialla, consiste in un semplicissimo spazio con una luce monocromatica. Non essendoci nessuna luce bianca che faccia rimbalzare le onde dello spettro elettromagnetico, quello che noi percepiamo all’interno di questo ambiente è appunto un’assenza di colori. In questo caso le persone entrando in questa stanza, rimangono senza parole nel notare, guardando il proprio corpo, che tutti i colori sono spariti. Pare proprio che l’assenza del colore renda i soggetti molto più attenti a qualsiasi altra cosa li circondi.
Lo scopo di questa e di molte installazioni immersive potrebbe infatti essere quello di rendere lo spettatore consapevole della propria presenza nell’opera e di come percepisce fisicamente questi ambienti. L’esperienza di un’opera d’arte di questo tipo non è quindi mai passiva, come può essere quella della visione di un dipinto, ma è intima e ci colpisce nel profondo andando a stimolare una “sensazione della sensazione” direttamente attraverso il nostro sistema somatico. È infatti attraverso questo sistema che possiamo percepire il mondo che ci circonda e il posto che occupiamo nell’ambiente in un determinato momento.

Il visitatore quindi non si limita a osservare queste installazioni, ma le vive. È come se la stanza e l’ambiente immersivo portino il soggetto ad una sovra consapevolezza del proprio corpo nello spazio.
L’arte immersiva ci spinge a farne esperienza non solo attraverso la vista ma attraverso i sensi più intimi come il tatto, la propriocezione, il senso cinestetico, l’olfatto, la temperatura e persino la pressione.

Olafur Eliasson, Room for one colour, 1997. Installation view at 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, Japan, 2009. Photo by Anders Sune Berg the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York

 

VR e la realtà delle sensazioni 

Com’è possibile che l’essere all’interno di un’installazione immersiva, che sia una stanza progettata da un’artista o un esperienza di virtual reality, abbia un impatto così forte sulla nostra percezione e sulle nostre sensazioni che sembrano essere così vere?
Per rispondere a questa domanda, prendiamo come esempio il Richie’s Plank Experience che, per chi non lo sapesse, è un esperimento psicologico di realtà virtuale in cui i soggetti devono camminare su un’asse sospesa nel vuoto. Questo esperimento è molto diffuso in musei d’arte e scienza e magari a qualcuno di voi è capitato di provarlo. Quello che si nota in questo tipo di esperienza è che per quanto la grafica non sia perfetta e si capisca benissimo che è tutto finto, le persone che la provano hanno delle sensazioni davvero realistiche: senso di vertigini, giramento di testa, tremolio delle gambe come se fossero veramente in cima ad un grattacielo di 80 piani. Ma perchè, un ambiente virtuale che non appare neanche così realistico fa percepire delle sensazioni così vere?

Toast VR, Richie’s Plank Experience, 2017.

La realtà virtuale ha un effetto molto diverso sul nostro cervello rispetto ad un semplice schermo. Quando guardiamo un video sulla Tv o su uno smartphone, il nostro cervello legge quello che vede come un’immagine piatta. Se un oggetto sullo schermo diventa sempre più grande non abbiamo la sensazione che si stia avvicinando a noi al punto che sentiamo la necessità di spostare la testa per schivarlo. Quando abbiamo in testa un visore però le cose cambiano perchè non stiamo più guardando un solo schermo ma due, che sono esattamente in corrispondenza dei nostri occhi. Ognuno di questi schermi proietta delle immagini leggermente differenti a ciascun occhio ed è proprio così che funziona la nostra vista nel mondo reale: ogni occhio percepisce gli stimoli da un’angolazione leggermente differente rispetto all’altro. È esattamente questa leggera differenza che ci permette di percepire la profondità e la tridimensionalità. 

Un altro aspetto molto importante della Realtà Virtuale è che, avendo in testa il visore, siamo noi la telecamera e il movimento della nostra testa determina il movimento della scena. Questa perfetta sincronizzazione fa adattare il cervello alla situazione e inizia a percepire il tutto come se fosse dalla prospettiva della persona. Quello che si vede, il suono che cambia in base a dove giriamo la testa e la percezione della tridimensionalità ci fanno avvertire quell’ambiente come se fosse reale.
Alcuni ricercatori dell’Università di Amburgo hanno scoperto che la realtà creata può coinvolgere così tanto che se siamo catapultati in un ambiente invernale iniziamo a percepire freddo anche se la stanza dove siamo nella realtà è propriamente riscaldata.

Centrale nell’esperienza di VR poi è il concetto di embodiment, ovvero la sensazione di essere presenti in un momento ben preciso in un ambiente specifico. La consapevolezza del nostro corpo in un determinato momento e spazio è quello che ci permette di comprendere che l’esperienza che stiamo vivendo è reale. Grazie a tutte le sue caratteristiche sopracitate, la realtà virtuale è in grado di attivare i nostri sistemi motori e sensoriali in un modo che è quanto più simile a quello della vita di tutti i giorni. Dopo pochi minuti in VR, il nostro cervello inizia ad adattarsi e pensare che quello che vedi e vivi è il tuo corpo e la tua realtà.

 

Le stanze senza confini di James Turrell

James Turrell è uno dei più grandi artisti contemporanei, famoso per i suoi lavori con la luce e lo spazio. Turrell ha negli anni creato innumerevoli stanze e ambienti immersivi. 

La sua arte è molto particolare in quanto non presenta nessuna immagine, né oggetti, e spesso non ha nemmeno un punto specifico dove guardare. La sua idea è quindi quella di mettere l’osservatore nella condizione di vedere e percepire se stesso. Turell infatti crea degli spazi che come unico scopo hanno quello di generare delle sensazioni. 

James Turrell, Aftershock, 2021. Installation view Light & Space at Copenhagen Contemporary, Photo by Florian Holzherr.

Le sue famose stanze immersive, come per esempio Aftershock, sono progettate in modo tale che sembra di entrare in uno spazio senza confini. In queste stanze, grazie ad un gioco di luci particolari di cui Turrell è un maestro, vengono eliminati tutti i riferimenti spaziali e la stanza sembra uno spazio indeterminato, che lo spettatore non riesce a comprendere fino in fondo. Il nostro cervello, solitamente, si serve dei punti di riferimento spaziali per permetterci di comprendere la nostra posizione all’interno di un ambiente. I punti di riferimento sono quindi indispensabili per percepire che spazio occupiamo nel mondo. La mancanza di questi riferimenti spaziali può generare delle sensazioni di stordimento e incapacità a comprendere cosa ci circonda. La sensazione di essere in uno spazio indeterminato e la presenza di flash che talvolta partono ad intermittenza, possono generare nelle persone delle sensazioni di fastidio che possono sfociare anche nel desiderio e nella necessità della persona di lasciare la stanza. Questa è sicuramente una reazione molto diversa da quella che può essere suscitata da un media d’arte classico. Come abbiamo visto nell’ultimo articolo, infatti, quando siamo di fronte ad un quadro o ad una scultura, le nostre sensazioni e l’attivazione fisiologica si avvicinano di più ad una forma di contemplazione, un quadro ci può emozionare, ma fino ad un certo punto. Il potere delle arti immersive invece è quello di coinvolgere tutto il nostro corpo e di farci provare delle sensazioni inesplorate. Quando ci troviamo immersi in una stanza accuratamente progettata, diventiamo iper consapevoli del nostro corpo, della sua forma, del suo colore e dello spazio che occupa nell’ambiente.

In fondo, la magia dell’arte immersiva è proprio questa: in una semplice stanza, che sia reale o virtuale, possiamo arrivare a conoscere un po’ meglio noi stessi. 

Martina Zanotto
Psicologa, esperta in Neuroscienze

Bibliografia

Bartlem, Reshaping Spectatorship: Immersive and Distributed Aesthetics, 2005

Fake, “Arte Immersiva: storia, tendenze e casi di successo internazionale – Arts for Future Festival”, 2022

L. Kosky,  Arts of Wonder, Enchanting Secularity – James Turrell, University of Chicago Press, 2012

Abstract, the Art of Design, St.2 Ep.1 Olafur Eliasson: il design dell’arte (Netflix, 2019)