È credenza comune pensare che solo neurologi, neuroscienziati e psicologi siano in grado di spiegare come funzioni il cervello. Dopo aver letto questo articolo la vostra “visione” delle cose risulterà essere più ampia e magari riuscirete a vedere l’arte e la realtà con un occhio diverso.
La visione degli artisti
Vi siete mai trovati davanti ad un dipinto di Mondrian? È probabile che se nessuno ve lo spiega questo vi appaia come una tela bianca con delle semplici righe nere che racchiudono dei quadrati gialli, rossi e blu. La rappresentazione sembra semplice, lineare e geometrica. Semir Zeki, uno dei più grandi neurofisiologi dei nostri tempi, spiegò il vero intento di Mondrian ovvero quello di decomporre le forme complesse nelle sue forme base. È così che il volto di una persona si trasforma in un quadrato e qualsiasi oggetto complesso può essere rappresentato ricercando l’essenza di tutte le forme, la linea retta. La cosa interessante è che l’idea di Mondrian non è poi così lontana dalla realtà e infatti, anni dopo, alcuni neurofisiologi scoprirono che effettivamente il nostro cervello percepisce le forme a partire dalle linee rette. Un “semplice” pittore con le sue opere aveva intuito una delle funzioni base della nostra percezione. I quadri di Mondrian sono quindi serviti per dimostrare l’alta segregazione funzionale dei nostri neuroni nella corteccia visiva.
Anche le opere di Paul Cézanne sono molto interessanti da un punto di vista neuroscientifico. I suoi quadri rivoluzionari ritraevano per lo più soggetti considerati banali: frutta, teschi, il paesaggio della Provenza. Anche la sua arte in realtà è in grado di svelare il processo della visione. I suoi lavori vennero criticati perché “inutilmente astratti”, eppure ci mostrano il mondo così come appare inizialmente al cervello. I suoi dipinti sono composti da pennellate e punti di colore che si sovrappongono gli uni agli altri e rappresentano proprio i primi stadi della visione in cui la luce non è ancora stata trasformata in forma. Le opere di Cézanne possono essere viste come l’aspetto che ha la realtà prima di essere elaborata dal cervello. Questa è la magia dei suoi quadri, per poter dare un senso agli oggetti e ai paesaggi astratti dobbiamo far intervenire la nostra mente.
L’occhio come macchina fotografica o molto di più?
L’occhio può dunque essere visto come una macchina fotografica che cattura la realtà e passa l’informazione al cervello? Secondo William Wundt, un grande psicologo sperimentalista, era proprio questa la funzione dell’occhio: catturare i pixel di luce e inviarli passivamente alle cortecce visive. Secondo lui qualsiasi sensazione poteva essere scomposta nei suoi dati elementari. Cézanne con i suoi dipinti capovolse quest’idea. I suoi quadri come abbiamo detto precedentemente riguardavano la soggettività dello sguardo, ogni osservatore per poter guardare e apprezzare un quadro ci deve mettere del suo e ricostruire quel paesaggio che apparentemente sembra solo un ammasso di colori. Quest’idea va oltre quella degli impressionisti come Monet, Renoir e Degas che credevano che la vista fosse semplicemente la totalità della sua luce. Nei loro bei quadri volevano descrivere i fugaci fotoni assorbiti dall’occhio, descrivere la natura rifacendosi soltanto alla sua illuminazione. Cézanne, invece, riteneva che la luce fosse solo il primo stadio della visione. “L’occhio non basta bisogna anche pensare”, disse. Secondo lui guardare significa creare ciò che vediamo, le nostre impressioni esigono anche un’interpretazione.
Grazie alle moderne scoperte delle neuroscienze oggi siamo in grado di dire che Cézanne aveva ragione. La nostra visione comincia con i fotoni come sostenevano gli impressionisti, ma quello è solo l’inizio. L’informazione infatti deve poi essere trasformata in un segnale che il nostro cervello può codificare e da lì le nostre aree cerebrali generano le nostre sensazioni. Attraverso l’interazione di numerose aree visive che lavorano sinergicamente, siamo in grado di costruire quello che vediamo. Per questo motivo si potrebbe quasi arrivare a dire che la realtà che percepiamo non è lì fuori in attesa di essere testimoniata ma viene creata dalla nostra mente.
Cosa succede nel nostro cervello
L’abilità di vedere ci sembra estremamente semplice, ci basta aprire gli occhi e immediatamente riconosciamo gli oggetti che ci circondano. In realtà la visione è un processo molto articolato che funziona step by step, partendo da un’analisi semplice dello stimolo fino ad arrivare a creare nella nostra mente un oggetto sempre più astratto, quasi un concetto.
La visione inizia quindi a livello degli occhi, in cui i recettori presenti sulla retina catturano i fotoni di luce e li traducono in segnali che possono poi essere analizzati dal nostro cervello, l’energia dei fotoni viene quindi trasformata in un’informazione. Questo processo poi innesca una reazione a catena che prevede l’intervento di diverse aree cerebrali ed ognuna è responsabile di analizzare diversi aspetti della visione.
La corteccia visiva, situata dietro la nostra nuca, presenta diverse aree distinte, ognuna delle quali è responsabile di analizzare diversi aspetti dello stimolo visivo. Dall’occhio l’informazione viene inviata alla cosiddetta regione V1, l’area neuronale in cui la scena visiva acquisita dalla retina appare sottoforma di linee rette, come nei quadri di Mondrian. Hubel e Wiesel, due vincitori del premio Nobel, hanno scoperto che i neuroni della corteccia visiva primaria (V1) non rispondono semplicemente alle linee in generale, ma che gruppi di neuroni rispondono a linee con uno specifico orientamento. Alcuni neuroni quindi si attivano solo quando la linea ha un’orientazione verticale, altri orizzontale e altri ancora se è obliqua.
Da qui il processo della visione si divide in due vie, una nominata del “dove” e una del “cosa”. Ciascuna via è costituita da una serie di centri gerarchicamente organizzati che ricevono, processano e trasmettono l’informazione visiva al centro successivo. La via del “dove” collega le aree visive alla corteccia parietale, responsabile dell’orientamento nello spazio. Grazie all’analisi di questa via siamo in grado di percepire un oggetto all’interno dello spazio. La via del “cosa” invece procede dalle cortecce visive in basso verso la corteccia temporale ed è responsabile dell’analisi di tutti i vari aspetti dettagliati dell’oggetto che ci permettono di riconoscerlo.
La prima area della corteccia visiva in cui i neuroni rispondono alle immagini sia illusorie che reali è la V2.
È grazie a questa area che cominciamo a percepire una montagna dove c’è solo una sottile linea nera o un paesaggio in un ammasso di colori come un quadro di Cézanne. La cosa interessante è che questi neuroni si attivano sia quando vediamo una montagna sia quando la immaginiamo soltanto. A livello quindi delle aree V2 e V3 le semplici linee, i bordi e gli angoli analizzati dall’area V1 vengono combinati per ottenere i contorni semplici degli oggetti. Una volta arrivata a questo stadio, l’informazione viene passata alle aree successive V4 e V5 che sono responsabili rispettivamente della percezione del colore e del movimento. A questo punto l’informazione viene inviata ai lobi temporali in cui sono presenti delle regioni composte da neuroni specializzati nel riconoscimento degli oggetti, dei volti e dei paesaggi.
L’arte della visione
Alla luce di queste scoperte neuroscientifiche possiamo dire che la visione può essere paragonata all’arte dal momento che ciò che vediamo non è reale.
Quando apriamo gli occhi, entriamo in un mondo illusorio, una scena codificata dalla retina e ricreata dalla corteccia visiva. Proprio come un pittore interpreta un quadro, noi interpretiamo le nostre sensazioni.
È l’arte, non la scienza, il mezzo con cui esprimiamo come vediamo il mondo. Quando fissiamo i dipinti di Cézanne, è come se fossimo dentro la sua testa e vediamo il mondo attraverso i suoi occhi (e il suo cervello).
Possiamo quindi affermare che noi non funzioniamo come delle semplici macchine fotografiche, e come giustamente aveva intuito Cèzanne, vedere è immaginare. Se ci affidassimo solo ai nostri occhi tutto quello che vedremmo sarebbero solo dei semplici puntini di luce, non ci sarebbe nessun paesaggio davanti a noi. È solo grazie al nostro cervello che riusciamo a costruire il mondo che ci circonda.
Martina Zanotto
Psicologa, esperta in Neuroscienze
Bibliografia:
Eric R. Kandel, L’età dell’inconscio, Arte mente e cervello dalla grande vienna ai nostri giorni, Raffaello Cortina Editore, 2016
Lehrer, Proust era un neuroscienziato, Codice edizioni, 2008
Zeki, La visione dall’interno. Arte e cervello, Bollati Boringhieri, 2007